45 anni dal terremoto dell'Irpinia: tremila morti e prefabbricati ancora in piedi

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Il 23 novembre 2025, esattamente 45 anni dopo la scossa che cambiò per sempre il volto del Sud Italia, l’terremoto dell’Irpinia torna a risuonare nella memoria collettiva. Alle 19:34 del 23 novembre 1980, una fessura profonda si aprì sotto l’Appennino meridionale: 90 secondi di terra che si sgretolava, magnitudo 6.9, epicentro tra Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. Tre mila morti. Diecimila feriti. Centinaia di paesi cancellati. E un’Italia intera che, per la prima volta, vide la propria fragilità riflessa negli occhi di chi aveva perso tutto.

Quella domenica sera, la luna rossa e il silenzio dopo il boato

Le testimonianze raccolte dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) parlano di una luna enorme, rossa, inquietante. Non era un fenomeno atmosferico, ma un segno che la terra stava per gridare. Quando la scossa arrivò, molti erano ancora a tavola, in chiesa, davanti alla televisione. Niente avvertimenti. Niente allarmi. Solo il rumore di un mondo che crollava. Le prime immagini dei telegiornali erano frammentarie, confuse. I soccorsi? Bloccati. Strade interrotte, ponti crollati, linee telefoniche spezzate. In alcuni paesi, i primi aiuti arrivarono solo dopo cinque giorni. Mentre i parenti scavavano con le mani nude tra macerie, le autorità si muovevano con lentezza. Era un Paese che non aveva mai affrontato un disastro di quella portata.

Sandro Pertini: il presidente che non si limitò a piangere

Il 25 novembre, l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini salì su un elicottero e sorvolò le zone devastate. Non portò discorsi ufficiali. Portò il suo sguardo, il suo silenzio, la sua rabbia. Tornato a Roma, si rivolse agli italiani con un intervento televisivo che nessuno dimentica: "Non si può aspettare che la gente muoia di freddo e di fame mentre si discute sui bilanci." Fu un momento di svolta. Non fu solo un atto di solidarietà: fu un’accusa. E quella accusa cambiò il modo in cui l’Italia pensava alla protezione civile. Per la prima volta, la politica fu costretta a guardare oltre i comizi, oltre le elezioni. Verso le case che non avevano mai avuto le fondamenta giuste.

La ricostruzione che non è mai finita

Quarantacinque anni dopo, l’INGV ha pubblicato una story map interattiva, Quella domenica sera, che ricostruisce con precisione scientifica l’evento e le sue conseguenze. I dati sono agghiaccianti: oltre 110 mila edifici danneggiati, 250 comuni colpiti, 1,5 milioni di persone sfollate. Ma il dato più sconvolgente non è nel passato: è nel presente. Secondo Binews.it, nel 2025 ci sono ancora prefabbricati costruiti come soluzioni temporanee, destinati a durare pochi mesi. E invece? Sono diventati case, scuole, uffici. Sono diventati simboli di una promessa non mantenuta.

La Protezione Civile oggi è un modello europeo. Le reti di monitoraggio sismico sono avanzate. Ma la prevenzione non è solo tecnologia. È educazione. È manutenzione. È la volontà di non ripetere gli errori. "Finché ci sarà una casa, un paese, una famiglia che aspetta, la ricostruzione non è finita", scrive Binews.it. E non è un’affermazione retorica. È una verità che vive nei muri storti di Lioni, nelle scuole di Ariano Irpino ancora in attesa di ristrutturazione, nei giovani che lasciano il Sud perché non credono più nel futuro.

Le cicatrici che non si vedono, ma si sentono

La Provincia di Salerno ha ricordato le strade illuminate solo dalle sirene, le voci che gridavano nomi tra le macerie. Ma c’è un’altra cicatrice: quella psicologica. Generazioni cresciute con la paura di un terremoto. Con la memoria di non poter dormire tranquilli. Con il timore che, se torna a tremare, nessuno verrà a salvarle. Eppure, accanto alla tragedia, c’è stata la solidarietà. La gente che donava vestiti, cibo, denaro. I volontari che arrivavano da Milano, da Torino, da Palermo. Fu un momento in cui l’Italia si ricordò di essere un’unica comunità. Ma quel senso di unità, oggi, sembra svanito.

La lezione che non abbiamo imparato

L’INGV ammette che nel 1980 non esisteva un centro unico di raccolta dati. Oggi sì. Ma non basta. Il problema non è l’attrezzatura: è la cultura. Quanti edifici pubblici sono ancora antisismici? Quanti comuni hanno un piano di emergenza aggiornato? Quanti cittadini sanno cosa fare quando la terra trema? Il Quirinale, nel suo comunicato, ha definito l’Irpinia "una pagina difficile della nostra storia". Ma è anche un monito. Non possiamo celebrare il ricordo senza agire. La ricostruzione non è solo di mattoni. È di consapevolezza.

Frequently Asked Questions

Perché i prefabbricati dell’Irpinia sono ancora in uso nel 2025?

I prefabbricati, costruiti come soluzioni temporanee dopo il terremoto, dovevano durare pochi mesi. Ma la mancanza di fondi, la burocrazia e la scarsa pianificazione hanno fatto sì che diventassero abitazioni permanenti. Nel 2025, ancora centinaia di questi edifici sono in uso, specialmente in zone remote come Lioni e Senerchia, dove i progetti di ristrutturazione sono bloccati da anni.

Come è cambiato il sistema di monitoraggio sismico dall’Irpinia ad oggi?

Nel 1980 non esisteva un sistema nazionale di allerta rapida. Ogni stazione sismica operava in modo isolato. Oggi, l’INGV gestisce una rete di oltre 300 stazioni in tempo reale, con allarmi automatici e collegamenti diretti con la Protezione Civile. La latenza tra la scossa e l’allerta è scesa da ore a secondi. Ma l’efficacia dipende ancora dalla capacità dei comuni di reagire.

Perché il terremoto dell’Irpinia ha avuto un impatto così profondo sulla società italiana?

Perché fu il primo disastro naturale trasmesso in diretta tv a livello nazionale. Le immagini dei corpi estratti dalle macerie, le voci dei sopravvissuti, l’intervento di Pertini: tutto creò un senso di colpa collettivo. Per la prima volta, gli italiani si resero conto che la vulnerabilità non era solo del Sud, ma di tutto il Paese. Da lì nacque la moderna Protezione Civile.

Quali sono le zone più a rischio oggi, a 45 anni di distanza?

Oltre all’Irpinia, sono a rischio la Calabria, la zona del Gran Sasso, la Val d’Aosta e parte della Sicilia orientale. Secondo l’INGV, il 68% degli edifici scolastici in Campania e Basilicata non è ancora antisismico. Eppure, i fondi per la manutenzione sono stati tagliati del 30% negli ultimi cinque anni. Il rischio non è sparito: è solo stato dimenticato.

Ginevra Mangano

Ginevra Mangano

Sono un'appassionata di cucina e ricette. Mi piace sperimentare nuovi piatti e condividerli con gli amici. Amo cucinare e provare diverse ricette di tutto il mondo.